cristina mirri
5/5
La poesia di Diano Green :
Da ieri la luce è tornata limpida, la schiena si stiracchia e si scalda al sole. Bivacco in giardino. È cambiata l’aria, lo spessore si è assottigliato, di nuovo l'orizzonte pulito, il crepuscolo rosato, di nuovo i fiori di passiflora arrampicati sugli usci. E finalmente le friselle al pomodoro, le campanule di bignonia sistemate tra i capelli, un bicchiere di fresco latte e menta. Di nuovo, la luna è crescente.
La fine della primavera e l’inizio dell’estate sono stati una costellazione di circostanze singolari e inafferrabili, comete di percezioni il cui transito, seppur momentaneo, ha lasciato un’impronta corporea in questa mia orbita stagionale. Ci sono stati eventi anomali, pensieri sfuocati, sensazioni confuse, gesti vaghi, senza orientamento.
Ci sono state poche e svogliate parole, poco l’appetito, ancor meno la voglia. Quaranta di febbre alle porte del solstizio, il collo rigido come ardesia, i sogni densi e i ricordi inconsistenti. Quanto tempo è passato? Una settimana, forse due, un mese, o era soltanto ieri. Una grande staticità, giorni di confine passati su una soglia immaginaria, né dentro né fuori, covando un’attesa impaziente che aspettava senza sapere né chi né cosa o quando.
Una spossatezza, nel corpo come nel cielo, erano velature sparse, velature estese, possibili piogge, l’azzurro braccato ai fianchi dalle nuvole, ogni pomeriggio. Chiaro, un attimo dopo, scuro: bollettino meteo e bollettino umore li direi identici, in perfetta corrispondenza. Insomma, se ne sono affaccendate di ombre nella luce ambigua di questo giugno.
Mi è sembrato quasi un inganno, o un sortilegio, come se la realtà d’un tratto si fosse fatta finzione e tu hai rischiato di essere preso dentro una qualche illusione, d’inciampare in un torpore di sonno ma nelle ore di veglia.
La luce assomigliava a quella nel tempo delle eclissi, enigmatica e misteriosa, da maneggiare con cura e cautela perché si potrebbe sentire oltre, si potrebbe persino vedere attraverso. Quando capita me ne sto ritta e immobile come un cipresso, magnete d’attenzione, in verticale e in orizzontale. Me ne sto lì a intercettare l’indecifrabile e l’indicibile, che tali sono e tali restano per la lingua dell’uomo, ma non per quella dell’anima.
Che frequenza è?
Non è lontana, è a pochi passi da qui ed è tanto vera quanto la polpa calda di un albicocca appena raccolta e subito mangiata. Sono varchi, sono punti d’ingresso, a volte permessi, a volte negati, visioni forse, dimensioni o suggestioni, non saprei. L’invisibile è meno sottile, è accanto e accade simultaneamente. Questo sì, in cuor mio lo so con certezza.
Dura poco, talvolta un istante, poi il canto di una tortora mi riporta dove sono, le campane suonano la mezza, un fischio rimbalza da una collina all’altra. Respira calma la campagna, il battito degli ulivi è regolare, come sempre. Non è successo niente ed è tutto. Allora torno a vedere quello che conosco e riconosco, i fiori di melograno, lo sbatacchio al vento delle foglie del banano, il buonumore della vite spettinata, il vigore degli oleandri.
Tornano pian piano le forze e la lucidità, la voglia di un tuffo a mare, il buon sapore della frittata di zucchine, dei primi fiori ripieni, di una tavola imbandita per nuovi ospiti e per gli affetti ritrovati, solidi e saldi a dispetto del tempo che passa. La tovaglia bianca ricamata, un agapanto blu al centro, il ristoro di ciò che è bello e che sappiamo familiare.
In questo giugno singolare, ho visto brillare come pepita d’oro, ogni giorno, in ogni campo, l’iperico. Non ne vedevo così tanto, qui in giro, da anni. Una scia di magia gialla, un angelo custode, guardiano dei mondi, terrestri e non. Istintivamente non l’ho raccolto, ho lasciato la sua traccia di protezione, il suo segno a terra. Ne ho colto un mazzetto da mettere davanti alla porta per invitare i benevoli a entrare e dissuadere i malevoli dal fermarsi.
Vita e incanto, realtà, finzione, illusione, superstizione.
Tutto convive ora.